Imprenditoria straniera, in Italia il +8,7%. Il successo di Chiarenza Group
l’imprenditoria straniera in Italia è aumentata in soli due anni dell’8,7%, raggiungendo il numero di 54mila attività. In questo contesto, quella di Chiarenza Group, oggi azienda leader che opera nel settore dell’impiantistica industriale, è una storia di successo, di dedizione e soprattutto di riscatto: nell’operoso tessuto bresciano, le radici di Chiarenza Group iniziano a svilupparsi poco più di 20 anni fa – nel 2002 – dall’idea di due fratelli: Abramo e Mostafa El Sheribini a cui si sono poi aggiunti i rispettivi figli Ali e Omar. Il lungo percorso aziendale vedrà la propria svolta nel 2018, con l’apertura della nuova sede in via Industriale 64 a Corzano.
In un particolare momento storico e sociale, dove fare impresa è sempre più complesso e complicato, la storia di Chiarenza – che si inserisce in un contesto ormai sempre più digitale e orientato a parlare con l’esterno – colpisce soprattutto per un sostantivo: integrazione. Il dato da cui partire è quello fornito da Openpolis: oggi un’azienda su 10 è guidata da “stranieri”. Una realtà strutturale, quella dell’imprenditoria straniera, che in Italia e soprattutto al Nord sta registrando una crescita costante e sta arricchendo il panorama imprenditoriale con caratteristiche peculiari. Basti pensare che su circa 8 mila comuni, sono solo 500 quelli privi di un’imprenditoria straniera.
A spiegarlo è anche un recente report elaborato da Unioncamere nonché dal ministero del Lavoro: “L’imprenditoria straniera è una realtà strutturalmente significativa nel nostro Paese e sono caratterizzate da una certa vivacità, spesso anche superiore a quella delle aziende autoctone”. Flessibilità e slancio sono il loro trait d’union. Dati alla mano (aggiornati al marzo 2022 ndr) sono oltre 650 mila, il 10,7% sul totale, le imprese che in Italia sono condotte da imprenditori provenienti dall’estero.
La domanda sorge spontanea. Perché queste caratteristiche e questo successo? A rispondere è il Censis (Centro Studi Investimenti Sociale) assieme all’Università di Roma Tre nel corso del 2018: “La particolare vitalità dell’imprenditoria straniera è legata al fenomeno per cui a migrare sarebbero soprattutto i soggetti più aperti e dinamici, mediamente più propensi al rischio e dotati di una maggiore capacità di adattamento”.
Chiarenza Group è l’esempio pratico di come un’idea e il coraggio di buttare il cuore oltre l’ostacolo, a volte siano i principali ingredienti per un successo: quello che nasce dall’aspirazione di unire in un unico segno distintivo maestranze qualificate, le quali, con il loro saper fare, si sono poi posizionate in un mercato competitivo che esige sempre più professionalità e servizio.
Dal settore siderurgico a quello idroelettrico o della laminazione. Dal settore strutturale a quello navale, passando da quello petrolchimico. Tutt’altro che tuttologi: “Il nostro obiettivo – spiegano i titolari – è la realizzazione chiavi in mano del progetto da implementare. Per questo motivo ci avvaliamo di figure di esperienza pluriennale e di alta professionalità”.
Intervista ad Ali Sheribini:
Chi siete e come nasce l’idea di aprire la tua azienda?
“L’idea nasce anni indietro da mio padre e da mio zio, i quali svolgevano attività di saldatura e carpenteria presso le aziende committenti. Dopo anni di lavoro senza una propria sede stabile e tante difficoltà affrontate, nel 2018 capiscono che fosse arrivato il momento della svolta. Decidono quindi di aprire una nuova società coinvolgendo anche me e mio cugino. L’idea è stata quella di aprire qualcosa di nuovo, facendolo davvero in grande: l’azienda è infatti passata dai 300 mila del 2018 agli 8 milioni di euro fatturato l’anno scorso”.
Tante professionalità raccolte in un’unica azienda. A cosa dovete il vostro successo e come riuscite ad unire tante maestranze specializzate?
“La nostra è un’azienda a gestione familiare dove ogni persona della famiglia è responsabile di uno specifico reparto. In questo modo riusciamo ad avere un’organizzazione superiore alle altre aziende, sia in termini di gestione, di logistica che di prezzi concorrenziali. Inoltre ci avvaliamo di personale altamente specializzato, che è nel settore da oltre 30 anni”.
Ricordi il vostro primo lavoro? Come lo avete trovato e quali sensazioni hai provato nel vedere il cliente soddisfatto?
“Il nostro primo lavoro è stato un grosso ventilatore commissionato da un vecchio cliente di mio padre e mio zio, che gli ha seguiti anche dopo l’apertura dell’azienda. Vedere il macchinario inizialmente progettato su carta e poi tecnicamente realizzato è per me stata una grande realizzazione, soprattutto a fronte dell’entusiasmo dimostrato dal cliente per la qualità del lavoro da noi realizzato”.
Da allora cosa è cambiato?
“Grazie alla qualità dei primi lavori ci siamo fatti pubblicità e soprattutto un nome. Gradualmente abbiamo acquisiti clienti sempre più grandi e importanti, grazie ai quali – per crescere – abbiamo imparato un modus operandi sempre più organizzato e migliorativo, viste le necessità di gestire il personale, i flussi produttivi, i procedimenti e le procedure specifiche necessarie per giungere ad una lavoro qualitativo.
Crescendo è poi cambiata la fiducia che i fornitori hanno riposto in noi. Banalmente prima ci era difficile acquistare materiale pagando a 30/60 giorni data: non si fidavano di noi, non avendo un nome, pensando che saremmo stati insolventi. Oggi tutto questo non accade più”.
Cosa significa per te fare impresa?
“Fare impresa non significa banalmente solo fare soldi. Il principio che mi muove è la soddisfazione di vedere i nostri progetti realizzati. Personalmente, senza lavoro non saprei cosa fare nella vita. inoltre, fare impresa per me significa soprattutto essere eticamente corretti cercando di rispettare il più possibile tutti, cercando di farsi rispettare. Ecco, diciamo che fare impresa è creare qualcosa che nessuno può distruggere”.
Una così ampia rete specializzata richiede personale altamente specializzato?
“Assolutamente sì. La nostra strategia è stata quella di assumere personale con esperienza decennale che ha poi insegnato ai nuovi assunti. Nella nostra azienda – abbiamo 180 dipendenti – nessuno deve rimanere indietro. Il più esperto deve insegnare tutto quello che ha imparato al meno esperto. Non c’è spazio per chi non crede nel team: tutti i nostri dipendenti sono collaboratori, ingranaggi dello stesso motore. Abbiamo poi investito molto nella formazione, nell’innovazione e nello sviluppo di tecnologie come l’industria 4.0 la quale, ad esempio tramite la manutenzione predittiva, rende resiliente l’infrastruttura fisica della nostra azienda. Abbracciare la tecnologia ci ha quindi resi più concorrenziali rispetto a chi non l’adotta”.
Molte aziende faticano a trovare personale formato, avete o avete avuto difficoltà nel trovare mano d’opera specifica. Qual è il problema di base?
“Assolutamente sì, come tante altre aziende. Il problema di base è che in Italia la volontà di lavorare inofficiosa non ce l’ha più nessuno. Tutti vogliono fare lavori di ufficio, anche se come operai sarebbero maggiormente pagati. Un altro problema, a mio avviso, risiede nella poca alternanza scuola lavoro: quando i ragazzi escono da scuola devono ambientarsi in un mondo che non è stato loro ben trasmesso. La scuola trasmette quel modus operandi scolastico che non va bene nel mondo del lavoro. Detto questo noi crediamo molto nell’alternanza scuola lavoro, non a caso prendiamo molti giovani che formiamo in modo specifico e che poi assumiamo dopo il tirocinio. Credo quindi che si dovrebbe fare più alternanza scuola lavoro e che questa vada pagata maggiormente per incentivare i giovani”.
Quanto conta il territorio bresciano nella storia della vostra azienda?
“Molto. Posso dire che almeno il 40% del nostro successo è dovuto proprio al territorio bresciano. Non a caso l’industria manifatturiera bresciana è ben conosciuta a livello mondiale: un riflesso che sicuramente ci ha aiutati a crescere e a svilupparci”.
Articolo di Massimo Chisari
*Pubbliredazionale